#Biotecnologitaliani ha aperto la #PanicRoom, un servizio dedicato ai soci che si trovano in una situazione di stallo davanti a un problema che non sanno come affrontare.
Hai un’idea, ma non sai cosa fare?
Hai della documentazione che non capisci?
Sei ad un bivio di carriera e non sai come scegliere?
La Panic Room ha lo scopo di guidarti, con suggerimenti mirati, a trovare le risposte che ti servono grazie a un team di esperti!
Sei un biotecnologo (o uno studente in biotech) e vuoi confrontarti sui percorsi professionali con chi ha già maturato un’esperienza importante nel mondo del lavoro?
#Biotecnologitaliani ti propone una serie di 8 webinar per approfondire le varie sfaccettature della professione del biotecnologo:
Mercoledì 3 Febbraio 2021: Affari regolatori
Mercoledì 10 Febbraio 2021: Ricercatore
Mercoledì 17 Febbraio 2021: Innovation Manager
Mercoledì 24 Febbraio 2021: Clinical Research Associate
Mercoledì 3 Marzo 2021: Bioinformatico
Mercoledì 10 Marzo 2021: Medical Writer
Mercoledì 17 Marzo 2021: Post-Doc life
Mercoledì 24 Marzo 2021: Professione Biotecnologo
L’iniziativa è aperta e gratuita per tutti i soci. E’ possibile registrarsi per i singoli webinar (che si terranno via Zoom) a questo indirizzo: https://orientabiotech.eventbrite.it
Anche diverse persone in camice bianco hanno diffuso l’idea (paura?) che questo vaccino, per il solo fatto di essere “genetico”, potrebbe modificare il nostro DNA e quindi trasformarci in Organismi Geneticamente Modificati.
La riposta è NO, ma questo NO va spiegato bene. Proviamo a farlo per punti. 3 punti:
Il primo punto è una premessa.
Noi siamo tutti già geneticamente modificati. Non solo infatti siamo diversi (anche geneticamente) dai nostri genitori, ma soprattutto 1/3 del nostro DNA è formato da decine di migliaia di “retrotrasposoni” (LINE-1, Alu, …), che altro non sono che resti di infezioni virali che negli ultimi 80 milioni di anni sono vissuti alle nostre spalle e che ancora oggi, almeno in parte, mantengono la capacità di spostarsi o duplicarsi nel nostro DNA. Quindi siamo già geneticamente modificati e il nostro DNA continua a modificarsi, anche a causa di questi resti di infezioni virali che si perdono nella notte dei tempi. Interessante il fatto che nessuno di questi retrotrasposoni però derivi da vecchie infezioni da coronavirus.
In breve, è pur vero che l’uomo è andato sulla luna, ma né io né voi saremmo in grado di andarci per oggettiva mancanza di mezzi (non solo infatti serve una specifica preparazione fisica, ma serve anche una navicella spaziale idonea e una base di lancio, un sistema di allunaggio, etc). Quindi, sebbene tutti noi potremmo, in via teorica, andare sulla luna e magari anche creare una colonia, gli oggettivi problemi tecnici rendono la cosa più che improbabile.
Lo stesso vale per il nostro vaccino a mRNA: in linea teorica potrebbe integrarsi nel nostro DNA (pur sempre di materiale genetico si tratta), solo che non ha i mezzi per farlo e quindi non lo fa. Per chi fosse interessato a capire meglio cosa servirebbe al nostro mRNA per integrarsi nel nostro DNA, nell’infografica e in calce è spiegato cosa succede con un virus a RNA che è effettivamente in grado di entrare nel nostro DNA: l’HIV, il virus dell’AIDS, e il perché la stessa cosa non possa succedere con il vaccino.
Il terzo è sperimentale.
Dagli anni ’90 studiamo i vaccini a DNA e mRNA, non solo per capire se e come funzionano, ma anche per stimare i vari rischi, tra cui quello che il loro materiale genetico si inserisca stabilmente nel nostro DNA. I dati ci dicono che il DNA del vaccino può persistere nelle nostre cellule anche fino a 6 mesi, ma comunque NON si integra nel nostro DNA. La probabilità che questo avvenga è infatti 1.000 volte più bassa di quella che la cellula subisca delle mutazioni genetiche naturali.
Questo DNA inoltre non gira per l’organismo, ma resta localizzato al sito di iniezione e lì attiva la nostra risposta immunitaria, quindi, anche nella remota possibilità che si dovesse integrare in qualche cellula muscolare, è di fatto impossibile trasmetterlo ad un eventuale figlio.
HIV è capace di integrarsi nel nostro DNA, ma non è una cosa banale. Il primo passo per l’HIV è fare in modo che il suo RNA diventi DNA. Per farlo servono almeno 3 cose: un enzima (Trascrittasi inversa) capace di trasformare l’RNA (a singolo filamento) in una doppia elica di DNA, un innesco per il processo (e questo il virus lo ruba dalle nostre cellule, un tRNA che usa come “primer”) e infine delle sequenze specifiche sul proprio RNA (Primer Binding Site, PBS) che permettano al primer di attaccarsi e all’enzima di trasformare l’RNA virale, e solo quello, in DNA.
Non è finita qui. A questo punto è necessario che questo nuovo “DNA virale” entri nel nucleo delle nostre cellule e vada a contatto con il nostro DNA. Il processo non è banale è infatti il virus si è evoluto per creare un complesso di proteine (tra cui ad esempio quelle del Capside, l’involucro esterno del virus) che decorano il DNA e lo guidano attraverso i pori nucleari.
Una volta dentro usa un altro enzima, che si è portato da casa, un’integrasi per entrare finalmente nel nostro genoma. Per fare tutto questo il genoma dell’HIV è dotato di 9 geni che gli consentono di produrre ben 18 proteine che servono a portare a casa il risultato.
L’mRNA del vaccino per COVID-19, per contro, contiene solo la sequenza per produrre la proteina Spike di SARS-CoV-2 e attivare così la nostra risposta immunitaria. NON ha né la sequenza PBS né una trascrittasi inversa, non forma il complesso necessario a entrare nel nucleo della cellula e non ha un’integrasi per inserirsi nel DNA.
Inoltre, non da ultimo, essendo un RNA messaggero, in 12-48 ore massimo sparisce del tutto (l’mRNA infatti serve solo a portare istruzioni e, una volta “letto”, viene rapidamente degradato dalla cellula per far posto a nuove istruzioni).
Non è che questo vaccino è arrivato un po’ troppo presto?
In molti si chiedono come sia stato possibile fare una cosa, che generalmente richiede 10-20 anni, in meno di 1 senza che sotto sotto non ci sia una grossa fregatura.In realtà, in questo caso, la risposta è molto semplice: quando scienza e società lavorano insieme con un obiettivo comune chiaro e condiviso, si possono compiere miracoli (scientifici) come questo. Dovrebbe sempre essere così. Sta a noi fare in modo che lo sia!
Ma vediamo qualche dettaglio in più sul perché e come sia stato possibile “fare il miracolo”.
(1) Ce lo aspettavamo. Molto prima della crisi della #Covid19, c’era la consapevolezza che una pandemia di qualche tipo prima o poi sarebbe arrivata. Proprio per questo, ad esempio, nel 2017 è stata lanciata la Coalition Epidemic Prepardness Innovations, CEPI. Inoltre, diverse aziende e istituzioni accademiche, tra cui BioNTech, Moderna e l’Università di Oxford, stavano già sviluppando e testando da diversi anni nuove tecnologie per realizzare vaccini in tempi rapidi e a costi contenuti partendo dalle informazioni genetiche del patogeno. Questo ha fatto risparmiare molto tempo.
(2) Abbiamo subito identificato il virus. Il 31 dicembre 2019 Wuhan ha comunicato l’epidemia in atto. Il 10 gennaio era già disponibile la prima sequenza (dell’RNA) del virus. Questo, unito alle nuove tecnologie (vedi punto 1), ha consentito di iniziare a lavorare ad un vaccino già 10 giorni dopo l’allarme epidemico. Di solito questa fase preliminare invece dura (moooolti) anni.
(3) Soldi, soldi, soldi. Sviluppare un vaccino richiede soldi. Tanti soldi… e tempo per raccoglierli. Qui sono arrivati tutti e subito. Dai Governi e dalle varie organizzazioni filantropiche e umanitarie.
(4) Abbiamo usato il saltacoda. La stesura dei protocolli di sperimentazione e l’ottenimento delle approvazioni necessarie per realizzarli richiedono tempi molto lunghi, perché ci si mette in coda alle (molte) altre richieste. Tutti i progetti per lo sviluppo di vaccini contro la COVID-19 hanno però usato il saltacoda e i comitati etici e le autorità di regolamentazione hanno valutato subito la documentazione con la massima priorità. Rispondendo alle richieste anche entro 24 ore. Tutti hanno raddoppiato i loro sforzi per mettere questi studi al primo posto.
(5) Le sperimentazioni sono iniziate immediatamente. Anche i centri che si occupano di sperimentazione clinica si sono subito offerti (hanno fatto a gara!) per avviare la sperimentazione del vaccino e si è così partiti immediatamente.
(6) Digitalizzazione dei dati. Per paura di errori, storicamente i dati venivano raccolti in modo cartaceo e solo poi digitalizzati, con conseguenti tempi lunghi anche solo per disporre di dati facilmente utilizzabili.Negli ultimi 3-5 anni però anche la ricerca clinica si è finalmente digitalizzata, oggi raccoglie i dati direttamente attraverso sistemi digitali che limitano gli errori e le omissioni al minimo, e allo stesso tempo rendendo le informazioni immediatamente disponibili per l’analisi, anche in tempo reale.
(7) Volontari come non ci fosse un domani. C’è stato un enorme sostegno e coinvolgimento pubblico per questi studi. Molte persone si sono sentite in dovere di dare una mano e hanno fatto un passo avanti. In genere, le sperimentazioni sui vaccini richiedono mesi per il solo reclutamento. Qui, in poche ore, abbiamo raccolto decine di migliaia di volontari.
(8) Il virus ha fornito i malati. Brutto a dirsi, ma per vedere se un vaccino funziona ci devono essere malati. Solo così si può vedere se chi ha ricevuto il vaccino si ammala meno di chi ha ricevuto il placebo. L’arrivo della seconda ondata ha consentito a questi studi di produrre rapidamente risultati.
(9) Hanno funzionato alla grande! In una pandemia ogni vaccino è buono, anche quello che aiuta a prevenire anche solo una piccola parte dei casi gravi. Solo che se ne hai uno mediocre, per capire se funziona davvero (e non è solo rumore di fondo quello che vedi) hai bisogno di tanti casi (e quindi tanto tempo). Qui però hanno funzionato molto bene e anche già con i primi casi di malattia si è visto che erano efficaci.
(10) Sperimentazione e autorizzazione sono andate di pari passo. Normalmente tutti i risultati e i dati vengono raccolti, una volta terminato lo studio, in un dossier e mandati alle agenzie regolatorie, in un processo che richiede mesi per il dossier, seguito da mesi per la sua valutazione. In questo caso il processo è stato rivoluzionato utilizzando una “revisione progressiva”. I dati sono stati forniti alle agenzie regolatorie in tempo praticamente reale, per essere riesaminati già mentre gli studi erano ancora in corso. Quando sono arrivati i risultati finali, le agenzie regolatorie avevano già valutato tutto il resto e hanno potuto concentrarsi solo sulla loro analisi. L’intero processo ha richiesto mesi, ma l’ultimo passaggio solo pochi giorni. Le aziende inoltre si sono assunte il rischio di produrre il vaccino prima di ricevere l’autorizzazione. Questo ha permesso di avere le prime dosi disponibili già dal giorno dopo la loro autorizzazione. Se il loro vaccino avesse fallito, avrebbero dovuto buttare tutto.
Non dimentichiamoci poi che la ricerca su di un farmaco non si conclude con la fase III, ma prosegue con la fase IV, la farmacovigilanza. Si continueranno a monitorare i risultati e gli effetti avversi dei vaccini e si aggiusterà sempre più il tiro per migliorarne l’efficacia e minimizzarne gli effetti avversi.
Quindi non siamo andati troppo veloce, siamo piuttosto stati molto bravi a creare una sinergia scienza-società che ci ha permesso di sfruttare al meglio le nostre conoscenze scientifiche, e quanto la situazione ci metteva a disposizione, per arrivare a una risposta efficace contro #SARSCoV2 nel minor tempo possibile.
Quali effetti avversi mi devo aspettare dal vaccino per la #COVID19? Mi devo preoccupare?
Risposta breve: nella peggiore delle ipotesi un’anafilassi, che è però molto rara e comunque gestibile con epinefrina. Negli US, su 2 milioni di vaccinazioni, si sono avuti 21 casi (0,001%), di cui solo 4 (0,00025%) su persone non già allergiche. Tutti si sono risolti positivamente. Per contro, chi si ammala di COVID-19, sempre negli US, ha il 5% di probabilità di finire in ospedale e l’1,7% di morirci.*
Come sempre vediamo però la cosa un po’ più in dettaglio. ____________
Finora, per i vaccini a mRNA, erano disponibili solo i dati di sicurezza legati agli studi clinici di fase I – II – III. Sia chiaro, si tratta di signori studi che avevano valutato, per la fase III, la sicurezza del vaccino Pfizer su ben 43.000 persone e su 30.000 quello di Moderna, però comunque niente a che vedere con i milioni di vaccinati di questi giorni.
Bene, lo scorso 6 gennaio il Centro per il Controllo delle Malattie americano (il CDC) ha pubblicato il primo rapporto sulle reazioni avverse registrate sui primi due milioni di vaccinati.
Cosa ne è emerso? Che le reazioni avverse sono state lo 0,2%.
Quali sono state? Essenzialmente dolore al sito di iniezione, febbre (da 38°C), mal di testa, dolori muscolari, fatica e reazioni allergiche.
Quante? 175. Di queste però solo 21 gravi (anafilassi, ossia una grave reazione allergica a rapida comparsa che può causare la morte se non trattata rapidamente).
21 su 1.893.360. Lo 0,001%.
In 17 casi (su 21) si trattava però di persone che avevano una storia allergica, 7 dei quali avevano anche già avuto shock anafilattici. Se eliminiamo quindi gli allergici, l’incidenza scende allo 0,00025%.
E dopo quanto si sono manifestati? Entro 30 min., tranne in 3 casi, tutti in persone con una storia allergica, per i quali non si è comunque andati oltre le 3 h.
TUTTI I CASI SONO STATI TRATTATI CON SUCCESSO (con epinefrina) E ALLA FINE NESSUNO SI È FATTO MALE. ________________
La domanda è comunque se questo rischio, per quanto basso (più zeri ci sono dopo la virgola e più è basso), è comunque inferiore a quello che si ha contraendo direttamente la malattia, la COVID-19. Sempre il CDC americano ci comunica che a fine 2020 erano stati registrati 20.350.000 casi di COVID-19 e 350.000 decessi. Questo significa che la letalità registrata è dello 1,7%. Ci dice poi che, sempre a causa COVID-19, sono finite in ospedale in US più di 1 MILIONE di persone. Il 5% di quelli risultati positivi al SARS-CoV-2.
Questi sono i numeri da confrontare. Il rischio dell’1,7% di morire e il 5% di finire in ospedale se si contrae la COVID-19* VS lo 0,001% di avere un’anafilassi. Se poi non siete soggetti allergici, lo 0,00025%.
Vacciniamoci. Quando sarà il nostro turno.
Anche perché, come emerge da uno studio pubblicato ieri su The Lancet, chi finisce in ospedale per COVID-19 rischia di portarne i segni a lungo.
Dopo 6 mesi infatti:
il 63% riporta ancora fatica e debolezza muscolare.
il 26% riporta difficoltà a dormire.
il 24% riporta ansia e depressione.
inoltre, in particolare in chi aveva contratto la malattia in forma grave, erano presenti insufficienza polmonare (con segni evidenti ai polmoni) e difficoltà a raggiungere la distanza minima in una camminata di 6 minuti.
*sappiamo che il numero di contagiati reali è più alto di quello intercettato dai test, ma lo è anche quello dei decessi (si parla per gli US di quasi 500.000 decessi contro i 350.000 registrati). Sappiamo anche che il rischio morte e ospedalizzazione è età dipendente, questo semplicemente aumenterà il rischio per le fasce più anziane e fragili della popolazione e lo ridurrà per quelle più giovani. Resta il fatto che la sproporzione nella dimensione tra i rischi collegati al vaccino rispetto a quelli legati alla malattia rimane incolmabile.
Vale la pena vaccinarsi? Risposta breve: SI. I rischi sono di gran lunga (10.000 volte!) inferiori ai benefici.
Ieri è stato il Vaccine Day per i nuovi vaccini contro il coronavirus. Questo ha scatenato molte polemiche sia sul quantitativo di dosi date all’Italia (che poi si è rivelato essere lo stesso dato anche agli altri Paesi), sia sulla presunta pericolosità del nuovo vaccino a mRNA (per i non addetti ai lavoro “mRNA” sta per RNA messaggero e nelle cellule serve a portare le istruzioni contenute nel DNA alle fabbriche molecolari che servono a produrre le proteine). Qui, per ora, vorremmo limitarci a mettere in fila qualche numero per vedere se effettivamente tutta questa preoccupazione ha ragion d’essere.
1-Il vaccino a mRNA è del tutto nuovo, chissà cosa ci farà. Questi in effetti sono i primi vaccini commerciale a mRNA, ma il primo utilizzo di un mRNA come strumento per attivare la risposta immunitaria è stato pubblicato nel 2000, 20 anni fa (https://www.jimmunol.org/content/165/8/4710). Nel 2017 è stato sviluppato con questo metodo un vaccino contro il virus Zika (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5344708/), altra malattia che non ha una cura specifica. Farmaci a RNA sono inoltre in commercio da tempo e vengono usati per modulare l’espressione di specifici geni in diverse patologie (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6440575/) utilizzando un meccanismo di interferenza a RNA (iRNA). Il primo studio clinico su questo tipo di farmaci (ben più invasivi del vaccino a mRNA) risale al 2005, 15 anni fa. Quindi sì, sono nuovi, ma non troppo.
2-Ma perché fare un vaccino a mRNA? Perché l’mRNA ha delle proprietà che lo rendono migliore di qualunque altro tipo di approccio, sia per efficacia che per profilo di rischio, come ad esempio l’uso di virus attenuati, vettori virali modificati, frammenti di virus o DNA. In particolare l’mRNA:
è una molecola che è in grado di portare nella cellula tutte le informazioni necessarie a scatenare una risposta immunitaria specifica
si può facilmente sintetizzare in laboratorio, è poco costosa e relativamente semplice da realizzare
NON è in grado di entrare nel nucleo della cellula e inserirsi nel suo DNA, quindi non crea i problemi di alcuni DNA o RNA virali
basta guardarlo perché si distrugga. Lo sanno molto bene tutti i ricercatori che hanno dovuto maneggiarlo, nel vero senso della parola, “con i guanti”. Ecco perché è richiesta una stringente catena del freddo. Questo però significa anche che, una volta fatto il suo lavoro, sparisce da solo
3-Ma i rischi? I vaccini non sono a rischio zero, va quindi sempre valutato con attenzione il rapporto tra rischi e benefici. I rischi legati al vaccino sono di due tipi: attesi e inattesi. Quelli attesi sono i rischi legati al fatto che il vaccino sta facendo il suo dovere (scatena una risposta immunitaria quindi se dà febbre, una leggera infiammazione, etc… significa che va tutto bene, che il nostro sistema sta reagendo come atteso). Ci sono però poi anche dei rischi inattesi, che non sono legati all’azione del vaccino, ma possono essere legati ad altri fattori.
Dagli studi clinici di fase I-II-III che hanno coinvolto qualche decina di migliaia di volontari, non ne sono emersi di gravi. Oggi, che le dosi somministrate sono circa 5 milioni in tutto il mondo, sono però stati registrati, seppure non ancora pubblicati in modo ufficiale (per avere numeri precisi dovremo aspettare i rapporti di farmacovigilanza che usciranno tra qualche mese) 9 casi di effetti avversi gravi (reazione allergica/shock anafilattico) al vaccino: 7 negli USA e 2 nel Regno Unito. In tutti questi casi il paziente è stato curato con successo e dimesso dall’ospedale (niente di piacevole, ma gestibile e reversibile).
Questo significa che se ti vaccini negli USA il rischio, oggi, di avere una reazione allergica al vaccino è stimabile nello 0,00035%. Se ti vaccini nel Regno Unito il rischio di una reazione allergica al vaccino, oggi, è dello 0,00025%.
Avendo chiari i rischi, vediamo ora i benefici. Il beneficio atteso è di non ammalarsi di Covid-19. Che cosa significa? Oggi, se ti ammali di Covid-19, hai il 4% di probabilità di finire in ospedale e, in alcuni casi, anche di rimanerci*.
Quindi, riassumendo, vaccinandoci: assumiamo un rischio dello 0,0003% di avere uno shock anafilattico gestibile in qualche giorno in cambio rinunciamo al 4% di probabilità di finire in ospedale con una polmonite bilaterale o peggio se contraiamo la Covid-19.
Non pare una scelta difficile. 10.000 volte meglio vaccinarsi. Davvero.
*il 4% è un valore medio sui casi diagnosticati di Covid-19. Per le fasce più a rischio (età avanzata e patologie pregresse) questa % sarà più elevata, per i bambini (che comunque non verranno per il momento vaccinati) più bassa. Anche ammesso, e non concesso, che oggi il numero di positivi accertati sia 10 volte inferiore al numero reale, il rischio legato al contrarre la malattia sarebbe comunque 1.000 volte superiore a quello di vaccinarsi.
Ecco il logo vincitore del concorso: “Disegna il nuovo logo di #Biotecnologitaliani”!
Con ben 868 su 1220 voti!
Ora il logo passerà ad un grafico per trovare la sua forma definitiva, che verrà svelata il 1/1/2021 con la nascita ufficiale di “Biotecnologi Italiani”!
Autori: Riccardo Riva, Roberta Rizzo e Tommaso Scarpa.
Le due aree (blu e rossa) rappresentano il mondo della ricerca e quello dell’impresa, unite al centro da una doppia elica di DNA al cui interno trova spazio una stretta di mano. La stretta di mano sta a rappresentare la comunità dei biotecnologi che fa da ponte tra i due mondi, consentendo loro di parlarsi e di crescere.
Il significato che si intende trasmettere è quello della cooperazione, del supporto reciproco e dell’unità della comunità dei biotecnologi, che mette le proprie competenze al servizio dell’innovazione e dello sviluppo.
Qual è la situazione professionale dei #biotecnologitaliani? Quali sono le sfide che li attendono? Quali azioni si stanno intraprendendo?
Ti aspettiamo Mercoledì 2 Dicembre 2020 alle ore 21 per parlarne assieme.
Nell’occasione:
Presenteremo i dati dell’indagine occupazionale 2019 e lanceremo quella 2020
Presenteremo cosa sta succedendo in ambito normativo che riguarda la nostra professione
Racconteremo come #Biotecnologitaliani intende affrontare tutto quel che ci attende…
…ma soprattutto, vi ascolterà! ? Non mancate! L’EVENTO E’ APERTO A TUTTI I BIOTECNOLOGI. Le Iscrizioni sono aperte qui: https://biotechwebinar.eventbrite.it